19 febbraio 2012

Il terremoto del 1834 a Valdantena

Poco innanzi le ore 2 ½ pomeridiane udisi un orrendo fragore, e tosto una violenta urtata scosse la terra dal basso in alto, per modo che parve questa doversi aprire: continuò il moto ondulatorio da NO a SE per dodici minuti secondi e que' miseri abitanti furono trabalzati con le case loro in varia direzione”. Così scriveva Gerolamo Gargiolli1 sul terremoto che, il 14 febbraio 1834 sconvolse l'alta Lunigiana. La scossa, che era stata di 5,64 gradi Richter2, poco più importante di quella che ha colpito la provincia a fine gennaio 2012, era venuta in una giornata “velata di caligine cenerognola” in cui “a quando a quando si rendeva ai viventi difficile la respirazione per l'aria grave e soffocante”, con “l'atmosfera piena di elettricismo”: una di quelle giornate in cui si sarebbe detto che “oggi c'è l'aria da terremoto”.
A Pontremoli, nonostante la grande paura per il crollo di una volta del Conservatorio di S. Jacopo d'Altopascio3, ove erano a scuola una cinquantina di ragazze che si salvarono fortunosamente, non si piansero vittime. Ben diversa fu la situazione soprattutto nella valle del Verde, dove alcune persone “rimasero a un tempo e schiacciate e sepolte” e gravi furono i danni, con “villaggi poco meno che annichilati: Bratto, Braja, Guinadi, Cavezzana d'Antena, Groppo d'Alosio, Succisa e Valdantena”, che “patirono una crudele devastazione”.
A Casalina a fare le spese del terremoto furono anche la chiesa e la canonica, che – così annota don Romualdo Bernardoni nel Liber chronicus conservato presso la sezione pontremolese dell'Archivio Diocesano - “quasi ridotte a perfetto lustro, e al decente decoro dopo dieci anni di lavoro fra l’una e l’altra (…) convenne per duro e fatale subitaneo accidente vedersi col pericolo di perdere ogni veduta, e trovarsi ad un tratto ai Regni bui subissare ogni cosa da orribile scossa di terremoto seguita alle ore due e mezza pomeridiane nel giorno 14 febbraio 1834, il primo venerdì di Quaresima”.
Fu un “frangente lugubre”, protrattosi fino a tutto aprile 1835 con scosse d'assestamento fattesi “sentire nel nostro suolo più di mille volte senza esagerazione, e come io stesso ne ho avvertito le loro pulsazioni, il fatale, però, e più formidabile fu il primo che seguì nel sucennato giorno”, quando “fu per sussulto per ondulazione, ed in ultimo per inclinazione, e durò per tutto il suo quassamento fino a trenta minuti secondi o forse più”: “la Chiesa, e Canonica, come pure la maggior parte delle case di questi Abitanti di Valdantena ebbero il fatale crollo”. Don Bernardoni elenca i danni: “Il Campanile cadde al suolo dalla parte superiore dei cornicioni, cioè tutta la sua pergamena ed il resto del torso rimase nello strapiombo di un braccio e più (...). La facciata, a cui il medesimo campanile sta inerente, si distaccò dal volto alla misura di mezzo palmo, ed il volto medesimo fece vedere uno spacco da settentrione a mezzodì della larghezza di un palmo. La soglia della porta rimase in tre pezzi, (...). Il pavimento nuovo si abbassò più di tre dita. Si ruppe il palo di ferro della catena sopra il pulpito e s’inclinò il pilastro, assieme colla facciata a mezzogiorno (...). Cadde un pezzo dell’arco maestro del coro assieme al castello, e nella sua caduta ruppe ancora la Balaustra di marmo in più pezzi. Apparvero nelle facciate del Coro quattro aperture, cioè due orizzontali, una a settentrione, e l’altra a mezzodì, della larghezza di quattro dita dal tetto alle fondamenta, e due perpendicolari nella parete tergale dallo stesso Coro alla direzione delle due nicchie della larghezza simile ed altezza. Il Cupolino del Coro, quello che non cadde, rimase tutto sfracellato. In ogni sua parte, per dire tutto in una parola, la Chiesa rimase tritta.”. E la canonica, edificata da soli dieci anni, non se la passò meglio: “Dall’enorme urto sofferto dalla scossa della Chiesa, a cui di facciata è appoggiata detta Canonica, si inclinò allo strapiombo di due dita circa; caddero vari pezzi dei volti d’incanicciate per ciascheduna stanza del quartiere superiore, e insieme gli archi degli usci, ossia antiporti, s’infransero tutti i pavimenti. Cadde la chiave dell’architrave della porta, si ruppe la soglia ed in tutta la sua estensione fece vedere aperte per parte dei spacchi assai vistosi”. Al parroco non restò che rifugiarsi “per quindici giorni, ed altrettante notti in casa mia paterna innesprimibilmente atterito”.
A quel danno si pose rimedio, ma “il 7 settembre 1920 prima delle ore otto una forte scossa di terremoto danneggiò gravemente la chiesa e meno gravemente la canonica e molte altre case della parrocchia”. Toccò all'allora parroco don Luigi Rosa attivarsi per restaurare una chiesa ove anche oggi i problemi non mancano. (nella foto: gli archi che sostenevano il passaggio dalla canonica al campanile. Questo, distrutto dal terremoto del 1920, è stato costruito ex novo là dove ora si trova)
1G. G., Descrizione del Terremoto di Pontremoli in febbraio 1834, in Annali Universali di Statistica, vol. XL (Milano, 1834), pp. 81 sgg. La narrazione, siglata G.G. (si tratta di Girolamo Gargiolli), prende le mosse da una richiesta della Redazione degli Annali che induce l'autore ad “andar rimembrando le patrie calamità”, partendo dalla considerazione che nel ventennio precedente la gente di Lunigiana era stata travagliata da molteplici calamità: “or dalla carestia e dal contagio, or dal ghiaccio degli alberi, ed or dal fuoco di essi”, per giungere alla “crisi più spaventosa della natura: il terremoto
2STUCCHI et alii, 2007- DBMI04: database delle osservazioni macrosismiche dei terremoti italiani utilizzate per la compilazione del catalogo parametrico CPTI04 in Quaderni di Geofisica, I, Vol. 49, pp. 38 sgg
3È l'edificio che attualmente occupa l'Istituto Tecnico “Paolo Belmesseri”

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