7 ottobre 2016

Mons. Luigi Rosa, da Montelungo a vescovo di Bagnoregio



Il 3 ottobre 1971 nell'Ospedale di Bagnoregio moriva mons. Luigi Rosa, che aveva retto la diocesi laziale dall'ottobre 1942, dopo che, eletto vescovo il 23 giugno, era stato consacrato a Bagnone, dove era parroco, nell'agosto di quell'anno. Mons. Rosa, nato a Montelungo il 7 marzo 1883, si era sentito male proprio nel paese nativo, dove, a fine estate, trascorreva il consueto periodo di ferie per rituffarsi ancora una volta, con lo stile discreto che da sempre lo contraddistingueva, in quella realtà lunigianese dove aveva vissuto le prime esperienze.
A Bagnoregio il nuovo vescovo era giunto quando ancora infuriava la guerra e per la sua attività silenziosa, ma sempre attenta ai bisogni della gente, si conquistò la definizione di “pastor bonus” . L'impegno a difesa della popolazione durante i mesi del conflitto gli è valso l'intitolazione di una via cittadina ed una targa che, apposta a vent'anni dalla morte, lo ricorda come “difensore della città” ed “ultimo vescovo residenziale” di quella diocesi nata nel VII secolo.
Oggi Internet ci riserva una sorpresa. All'indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=WmhLoQSnhcI , ci si imbatte in un “documento straordinario dei primi anni sessanta: l'ultimo Vescovo di Bagnoregio Mons. Luigi Rosa tra la gente del suo paese. Il filmato che ritrae Mons. Rosa fa da prologo ad un interessante documentario sul Concilio Vaticano II” che, in quegli anni, stava creando forti aspettative nel mondo cattolico.
Ė emozionante, per quanti hanno avuto occasione di incontrare Mons. Rosa, rivederlo nel filmato, mentre esce dalla sede vescovile, si inoltra per la via centrale della cittadina, parla colla gente, si interessa della loro vita, visita una cava e fa propri i problemi dei lavoratori, soprattutto di un mondo agricolo in profonda crisi, con i contadini che si sono serviti per andarsene di una strada costruita per chiamare gente nei poderi.
C'è uno spaccato delle piccole diocesi italiane. Non è un caso che, alla sua morte, Bagnoregio non avrà più un vescovo e la diocesi sarà accorpata a Viterbo. “I vescovi delle grandi città – afferma – hanno sotto di loro delle immense popolazioni, come i generali hanno degli eserciti fortissimi; noi vescovi di piccole diocesi, che sono certamente la grande maggioranza, non abbiamo questo grande esercito. Abbiamo però la stessa autorità degli altri. C'è questo: che noi, purtroppo, qualche volta siamo costretti a sopperire anche i nostri sacerdoti ed a fare l'opera di parroco”. Attività che a Mons. Rosa non sembra pesargli granché. La sua giornata “segue il ritmo della cittadina isolata dalle grandi correnti di traffico”, terra di forte emigrazione (nel 1961 aveva perduto il 13% della popolazione censita nel 1901), piuttosto sonnolenta e, per certi aspetti, assai prossima a quella Lunigiana che aveva lasciato durante la guerra. Incontri informali, qualche battuta (non ha la patente di guida e “forse il tempo ormai è un po' passato, ma poi non ho neppure la macchina...”),  la cronaca di una missione fatta soprattutto di semplicità e di amore, con il vescovo che si arrampica sulle colline a dorso di mulo per raggiungere le chiese di una diocesi dove Mons. Rosa non disdegna di supplire i sacerdoti che non possono svolgervi il loro ministero.
Storia di una diocesi povera, di una chiesa che – nello spirito di un Concilio che apre ad un nuovo stile di evangelizzazione e di pastorale – guarda a chi è ai margini, a chi ha bisogno di una parola, di un gesto di condivisione. Il “pastor bonus”, venuto dall'Appennino Tosco-emiliano, da un paese dove ancora in quegli Anni Sessanta passava il grande traffico fra la Pianura del Po ed il mare, quegli atteggiamenti da parroco premuroso ed attento li conosceva bene. Facevano parte del suo DNA di uomo della montagna, di parroco passato attraverso le esperienze di una vita non semplice. Accanto ai problemi di un vescovo (“preparazione e guida dei sacerdoti, istruzione religiosa dei fedeli, apostolato dei laici”) c'è, per lui la “presenza vicino al popolo in ogni momento, a chiarire gli interrogativi della nostra epoca, a risolvere insieme le questioni più gravi, anche economiche e sociali”. 


Parroco in Valdantena fra la Grande Guerra e il terremoto del 7 settembre 1920


Don Luigi Rosa lascia nel Liber Chronicus di  Valdantena un ampio spaccato degli anni in cui, dal 1909 al 1926, resse la parrocchia. Ordinato Sacerdote a Pisa il 4 aprile 1908 dal Card. Maffi,  a Valdantena trovò una popolazione le cui condizioni religiose “non erano delle più floride: molto diffusa l’indifferenza religiosa e in alcuni l’aperta ostilità alla fede. Anche il Socialismo colle sue aberrazioni non solo economiche, ma anche irreligiose, godeva larghe simpatie. Alla diffusione di tali idee – scrive - contribuiva molto la forte percentuale di paesani emigranti all’estero e specialmente ne’ centri minerari del Nord America; la maggior parte di essi tornava con sentimenti antireligiosi”. Impegnatosi nel far fronte alle esigenze del paese (si adoperò per la realizzazione del nuovo cimitero “ in località detta Gavornara”) gestì gli anni del primo conflitto mondiale, con il conforto alle famiglie dei caduti, i problemi della gente vessata da requisizioni e, accanto, “un rifiorire del sentimento religioso; ed una maggiore serietà ed austerità di vita, cui ben presto subentrò la stanchezza, e i piaceri, i divertimenti ripresero quasi più sfrenati di prima”. Venne poi la Spagnola, con molti decessi ed  intere famiglie che “venivano colpite e la tribolazione era grande perché la paura del contagio specialmente nei primi tempi li faceva completamente isolare dagli altri”, mentre la fatica della vita quotidiana alimentava  un’altra epidemia di carattere morale scoppiata dopo la guerra”, quando un po’ per “l’esasperazione dei reduci per i lunghi patimenti sofferti”, un po’ per “le disillusioni lasciate da una pace balorda, ma più specialmente per le arti sobillatrici di elementi sovversivi,  cominciava a farsi strada l’idea che senza la rivoluzione non potesse ritornare l’ordine e la giustizia”.
Un ultimo capitolo della sua narrazione don Rosa lo riserva al terremoto del 7 settembre 1920, quando la chiesa parrocchiale e la canonica furono semidistrutte ed si avviò una paziente opera di ricostruzione, che impegnò gli ultimi anni della sua permanenza a Valdantena.
(da Il Corriere Apuano, 2016/35 - 24sett. 2016)