Mons. Luigi Rosa, da Montelungo a vescovo di Bagnoregio
Il
3 ottobre 1971 nell'Ospedale di Bagnoregio moriva mons. Luigi Rosa, che aveva
retto la diocesi laziale dall'ottobre 1942, dopo che, eletto vescovo il 23
giugno, era stato consacrato a Bagnone, dove era parroco, nell'agosto di
quell'anno. Mons. Rosa, nato a Montelungo il 7 marzo 1883, si era sentito male
proprio nel paese nativo, dove, a fine estate, trascorreva il consueto periodo
di ferie per rituffarsi ancora una volta, con lo stile discreto che da sempre
lo contraddistingueva, in quella realtà lunigianese dove aveva vissuto le prime
esperienze.
A
Bagnoregio il nuovo vescovo era giunto quando ancora infuriava la guerra e per
la sua attività silenziosa, ma sempre attenta ai bisogni della gente, si
conquistò la definizione di “pastor bonus” . L'impegno a difesa della
popolazione durante i mesi del conflitto gli è valso l'intitolazione di una via
cittadina ed una targa che, apposta a vent'anni dalla morte, lo ricorda come
“difensore della città” ed “ultimo vescovo residenziale” di quella
diocesi nata nel VII secolo.
Oggi
Internet ci riserva una sorpresa. All'indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=WmhLoQSnhcI
, ci si imbatte in un “documento straordinario dei primi anni sessanta:
l'ultimo Vescovo di Bagnoregio Mons. Luigi Rosa tra la gente del suo paese. Il
filmato che ritrae Mons. Rosa fa da prologo ad un interessante documentario sul
Concilio Vaticano II” che, in quegli anni, stava creando forti aspettative
nel mondo cattolico.
Ė
emozionante, per quanti hanno avuto occasione di incontrare Mons. Rosa, rivederlo
nel filmato, mentre esce dalla sede vescovile, si inoltra per la via centrale
della cittadina, parla colla gente, si interessa della loro vita, visita una
cava e fa propri i problemi dei lavoratori, soprattutto di un mondo agricolo in
profonda crisi, con i contadini che si sono serviti per andarsene di una strada
costruita per chiamare gente nei poderi.
C'è
uno spaccato delle piccole diocesi italiane. Non è un caso che, alla sua morte,
Bagnoregio non avrà più un vescovo e la diocesi sarà accorpata a Viterbo. “I
vescovi delle grandi città – afferma – hanno sotto di loro delle immense
popolazioni, come i generali hanno degli eserciti fortissimi; noi vescovi di
piccole diocesi, che sono certamente la grande maggioranza, non abbiamo questo
grande esercito. Abbiamo però la stessa autorità degli altri. C'è questo: che
noi, purtroppo, qualche volta siamo costretti a sopperire anche i nostri
sacerdoti ed a fare l'opera di parroco”. Attività che a Mons. Rosa non
sembra pesargli granché. La sua giornata “segue il ritmo della cittadina
isolata dalle grandi correnti di traffico”, terra di forte emigrazione (nel
1961 aveva perduto il 13% della popolazione censita nel 1901), piuttosto
sonnolenta e, per certi aspetti, assai prossima a quella Lunigiana che aveva
lasciato durante la guerra. Incontri informali, qualche battuta (non ha la
patente di guida e “forse il tempo ormai è un po' passato, ma poi non ho
neppure la macchina...”), la cronaca
di una missione fatta soprattutto di semplicità e di amore, con il vescovo che
si arrampica sulle colline a dorso di mulo per raggiungere le chiese di una
diocesi dove Mons. Rosa non disdegna di supplire i sacerdoti che non possono
svolgervi il loro ministero.
Storia
di una diocesi povera, di una chiesa che – nello spirito di un Concilio che
apre ad un nuovo stile di evangelizzazione e di pastorale – guarda a chi è ai
margini, a chi ha bisogno di una parola, di un gesto di condivisione. Il “pastor
bonus”, venuto dall'Appennino Tosco-emiliano, da un paese dove ancora in
quegli Anni Sessanta passava il grande traffico fra la Pianura del Po ed il
mare, quegli atteggiamenti da parroco premuroso ed attento li conosceva bene.
Facevano parte del suo DNA di uomo della montagna, di parroco passato
attraverso le esperienze di una vita non semplice. Accanto ai problemi di un
vescovo (“preparazione e guida dei sacerdoti, istruzione religiosa dei
fedeli, apostolato dei laici”) c'è, per lui la “presenza vicino al
popolo in ogni momento, a chiarire gli interrogativi della nostra epoca, a
risolvere insieme le questioni più gravi, anche economiche e sociali”.
Parroco in Valdantena fra la Grande Guerra e il terremoto del 7 settembre 1920
Don Luigi Rosa lascia nel Liber
Chronicus di Valdantena un ampio
spaccato degli anni in cui, dal 1909 al 1926, resse la parrocchia. Ordinato
Sacerdote a Pisa il 4 aprile 1908 dal Card. Maffi, a Valdantena trovò una popolazione le cui condizioni religiose “non erano delle più
floride: molto diffusa l’indifferenza religiosa e in alcuni l’aperta ostilità
alla fede. Anche il Socialismo colle sue aberrazioni non solo economiche, ma
anche irreligiose, godeva larghe simpatie. Alla diffusione di tali idee –
scrive - contribuiva molto la forte percentuale di paesani emigranti
all’estero e specialmente ne’ centri minerari del Nord America; la maggior
parte di essi tornava con sentimenti antireligiosi”. Impegnatosi nel far
fronte alle esigenze del paese (si adoperò per la realizzazione del nuovo
cimitero “ in località detta Gavornara”) gestì gli anni del primo
conflitto mondiale, con il conforto alle famiglie dei caduti, i problemi della
gente vessata da requisizioni e, accanto, “un rifiorire del sentimento
religioso; ed una maggiore serietà ed austerità di vita, cui ben presto
subentrò la stanchezza, e i piaceri, i divertimenti ripresero quasi più
sfrenati di prima”. Venne poi la Spagnola, con molti decessi ed intere famiglie che “venivano colpite e la
tribolazione era grande perché la paura del contagio specialmente nei primi
tempi li faceva completamente isolare dagli altri”, mentre la fatica della
vita quotidiana alimentava “un’altra
epidemia di carattere morale scoppiata dopo la guerra”, quando un po’ per “l’esasperazione
dei reduci per i lunghi patimenti sofferti”, un po’ per “le disillusioni
lasciate da una pace balorda, ma più specialmente per le arti sobillatrici di
elementi sovversivi, cominciava a farsi
strada l’idea che senza la rivoluzione non potesse ritornare l’ordine e la
giustizia”.
Un ultimo
capitolo della sua narrazione don Rosa lo riserva al terremoto del 7 settembre
1920, quando la chiesa parrocchiale e la canonica furono semidistrutte ed si
avviò una paziente opera di ricostruzione, che impegnò gli ultimi anni della
sua permanenza a Valdantena.
(da Il Corriere Apuano, 2016/35 - 24sett. 2016)
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