La Resistenza a Rossano fra entusiasmi e difficoltà nella Vallata in fiamme del Magg. Gordon Lett
“La Vallata quella mattina
offriva un panorama meraviglioso, incredibilmente piena di pace. Uno straniero
avrebbe potuto dire che la guerra con i suoi mali per essa non esistesse, e che
i suoi abitanti non vi pensassero per nulla. Solamente, quando si veniva a
conoscere a fondo la sua popolazione, si vedeva lo stato di continuo timore in
cui vivevano: paura che pattuglie fasciste o tedesche giungessero da un momento
all'altro per prendere ogni loro avere e costringere i loro uomini alla
deportazione in Germania; paura che le pattuglie di Carabinieri al servizio
della nuova Repubblica facessero una delle solite visite nella Vallata per
raccogliere tasse o per cercare i disertori dell'esercito di Mussolini”.
Fu questa, settanta anni fa,
proprio in questi giorni novembrini, la prima impressione che il capitano Lewis
Ross ebbe appena giunto nei luoghi che sarebbero stati per oltre un anno e
mezzo il teatro del suo impegno nella guerra di Liberazione italiana. Fuggito
da un campo di internamento presso Piacenza, il capitano Ross, inglese
catturato in Africa e fattovi prigioniero, era fuggito attraverso le montagne
all'8 settembre e, con l'aiuto della popolazione dell'Appennino, stava tentando
di raggiungere un luogo dove ricongiungersi con i suoi compatrioti. Ma non gli
fu possibile.
È facile comprendere che
dietro lo pseudonimo Lewis Ross si nasconda il maggiore Gordon Lett, comandante
del Battaglione Internazionale della 4ª Zona Operativa: Luigi è il nome
di battaglia che egli si era scelto e Ross altro non è se non un chiaro rimando a Rossano di Zeri,
la Vallata che lo accolse senza mai tradirlo per tutti i lunghi mesi
della Resistenza e che pagò la sua fedeltà con gli incendi, le devastazioni, i
saccheggi da parte dei nazifascisti.
“Vallata in fiamme”
era uscito per i tipi degli Artigianelli di Pontremoli nel 1949. Alla stesura
della versione italiana avevano collaborato i bolognesi Alfredo Rizzardi (per
la traduzione dall'inglese) e Claudio Scala (le carte topografiche), il poeta
parmense prof. Attilio Bertolucci, “Astrale” (cioè don Marco Mori), il
cap. Bruno Necchi (l'indimenticato Pasquin, che curò la pubblicazione
del libro e la correzione delle bozze). Il volume ebbe indubbio successo, ma fu
anche fonte di aspre polemiche. Lett non lesina critiche, anche dure, ai
politicanti che, in vista della Liberazione, cercavano già allora di
indirizzare la Resistenza ai loro interessi di potere, vertendone a loro
vantaggio i valori. Così, in sottofondo, si leggono i fatti meno nobili della
vicenda, dall'assassinio di Facio agli scontri per l'accaparramento dei lanci e
tutto il resto. Dall'altra parte il Battaglione Internazionale, altre formazioni
partigiane e soprattutto la gente, col suo silenzioso eroismo (lo stesso
attestato dal monumento che si incontra sulla strada fra Rossano ed Arzelato,
in Pradalinara).
Ora “Vallata in fiamme”,
per lunghi anni introvabile, è ritornata nelle librerie. Una lettura
appassionante, da correlare all'altra opera del Maggiore Lett, Rossano,
uscita per la ELI di Milano nel 1953, opera più “politicamente corretta”, dove
le polemiche di Vallata in fiamme, pur velate, lasciano spazio ad una
narrazione indubbiamente più fredda. Entrambe le opere sono ritornate
disponibili grazie all'intelligente intraprendenza di un libraio pontremolese,
Paolo Savi, che le ha edite in forma anastatica, mantenendone lo stesso stile
grafico, che, anch'esso, dà il senso di un tempo soltanto apparentemente
lontano. Due volumi fra loro
complementari, da rileggere con attenzione, anche per cogliere, come
scriveva “Il Corriere della Sera” nel 1958, quel senso di umanità che
aveva fatto nascere “fra i due paesi […] un'amicizia profonda e senza
retorica”. Nella foto: il monumento, a Pradalinara, che ricorda la presenza e il ruolo del Battaglione Internazionale nella Vallata di Rossano.
(da Il Corriere Apuano, n. 44 del 22 novembre 2014)
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